Noir/4 - Lenny

Quarto appuntamento, questa volta è Lenny di Stevie Ray Vaughan a riempire il brano. Enjoy!


Lenny
by Matteo Lietti

L’automobile viaggia tranquilla sulla nera striscia d’asfalto, preceduta da due coni di luce che si spalmano traballanti sul bitume da poco tempo rinnovato: pare di annusarne ancora l’odore penetrante. Le campagne attorno alla strada assistono silenti al passaggio della macchina; gli antinebbia tagliano come lame la lieve foschia che fa da coperta ai campi assonnati, disegnando il profilo di alberi e cespugli che paiono comparire dal nulla.
Nonostante la pericolosità della situazione, il guidatore non riesce a focalizzare tutta l’attenzione sulla strada. Lo sguardo risale spesso sullo specchietto retrovisore; in quel rettangolo di vetro, l’immagine riflessa del suo passeggero, comodamente seduto sul sedile posteriore. Il guidatore non si sofferma sullo specchietto per più di un breve istante; gli occhi fuggono, rapidi, non appena ha il sentore che il passeggero stia per portare l’attenzione verso di lui; non ha voglia di incrociarne lo sguardo. Meglio, ha paura di incrociarne lo sguardo; l’aveva fatto una sola volta, quella sera, e gli era bastato. Negli occhi vacui del passeggero non si leggeva nulla. Una sensazione terribile: avrebbe di gran lunga preferito trovarci odio, cattiveria. E invece, nulla.
Il viaggio continua, silente, spinto da motivi più o meno importanti. Ed uno di questi, forse il più importante, luccica alle spalle del guidatore, tra le mani del passeggero, ogni qualvolta viene investito dai fari di una macchina che procede nel senso inverso. Maledetto aggeggio.
Colpa di quel coso se ora si ritrova lì, nella sua auto, attanagliato dalla tensione e dalla paura; non avrebbe mai ospitato il passeggero, se non fosse stato per quell’aggeggio: eccolo, che luccica ancora, sotto i colpi di un lampione. Maledetto.
Il lettore CD sputa le note di Lenny, un bel pezzo di Stevie Ray Vaughan. Ancora una volta. Ad ogni buca, infatti, la testina perde la traccia che stava leggendo, e riparte da 0.32.02 della terza canzone. Lenny, appunto. Strano che il passeggero non gli abbia ancora intimato di spegnere il lettore: lo fanno tutti, esasperati dal perenne ritorno. Tutti, ma non lui, l’Occhio Vacuo.
Il guidatore si sente in trappola, un pupazzo nelle mani del destino. Che situazione. Non può fare nulla, tranne forse guidare all’infinito sotto lo sguardo vigile del suo passeggero. 
Una buca, e Lenny riparte da poco oltre i trenta secondi, ancora una volta. No, non si ridurrà come Lenny, esasperante nel suo continuo sottomettersi alla testina ballerina. Lui suonerà la sua musica, e lo farà con decisione; la mancina impugna saldamente il volante, strattonandolo verso sinistra. L’auto sterza bruscamente, invade l’altra corsia e si fionda in un campo di grano mietuto non da molto; le sospensioni hanno il loro bel da fare, mentre il guidatore, deciso, prosegue sul terreno dissestato. Un’occhiata al suo passeggero; il suo sguardo non è più così vacuo. “Cosa fai? Torna in strada!” urla a gran voce, una voce rotta dai sobbalzi che compie sul sedile “Torna in strada!”. Nessuna risposta. Il maledetto aggeggio luccica alla destra del guidatore, e lo spinge a non fermarsi. Poi, una violenta sterzata, per evitare un primo albero, una seconda, per evitare un pioppo ancora più imponente. Ma sul terzo, un leccio, non c’è niente da fare: l’auto si schianta sul tronco, accartocciandosi su di esso.

Il passeggero esce dall’auto, tossendo e sputando sangue; il sapore ferroso gli riempie la bocca. L’auto, ridotta a metà, fuma vigorosa; spalmata sul volante, la sagoma senza vita del suo rapitore.
Il passeggero è libero: le manette che lo tenevano legato al sedile passeggero si sono rotte; le osserva, mentre vengono investite da un raggio di luna e luccicano silenti. Forse, erano state proprio loro ad esasperare il guidatore: egli, braccato dopo la rapina, aveva perso la chiave, è probabile che volesse liberarsi di lui, continuando a fuggire; ma non poteva abbandonare l’ostaggio con l’auto. Quelle manette erano sicuramente divenute un’ossessione per il rapitore, un’ossessione che in quella mente malata e stressata aveva portato all’esasperazione.  
Il passeggero si allontana zoppicando dalla macchina, verso la strada, che scorge appena. Qualche autopattuglia passerà; mentre prende a calpestare il campo di grano, inizia a fischiettare Lenny.

 


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